Jeremy

Tornavo a casa, e facevo istericamente zapping tra le radio e la noia della musica da esse trasmessa in un sabato notte qualunque di metà ottobre, finché una santa cazzo di radio illuminata senza nessuno che parla annoiando a morte la mia già flebile voglia di ascoltare trasmette Jeremy dei Pearl Jam.

In un attimo la mia testa vomita la mia propensione ad avere una sana alimentazione, l’attenzione a non bere, il non fumare più, la palestra il calcio il cazzo che deve tirare fino a 70 anni, i 40 che arrivano in faccia fra meno di un anno, la borsa e le crypto, il pensiero di dovermi guardare sempre le spalle per gli errori del passato, e mille altre sensazioni tutte in un secondo che mi riportano ai miei 17 anni quando ero a Seattle, la culla del grunge. Quando suonavo rock, e frequentavo locali scrausi, folti di gente improbabile dalle vite mediocri e impossibili, distrutte e inspiegabilmente risolte. In quei club dall’odore di legno consunto, un po’ inglese un po’ americano, con quel folk di provincia coloniale fatto di spazi ampi, persone consumate, sempre le stesse e serate che si ripetono, monotone, ma perfette per l’inizio di svariate sceneggiature di film pulp, e ho sentito un senso di appartenenza, che mi ha fiondato lontano da tutta sta merda figlia di fashion week, denari e ristoranti di pesce crudo macchiato di riciclo, affollati di mocassini in velluto e donne cosparse di costose creme sulle gambe che fingono orgasmi sognando una borsa di Vuitton, o quattro like su instragam di quelle quattro stronze con le quali si sentono in competizione.


Forse pensandoci bene voglio invecchiare così, tra i fumi di sigarette, aromi di whiskey e mezcal, con la puttanella brilla con le calze un po’ rotte che ti guarda ammiccante mentre fuma John Player, schiavo dei vizi e dell’appagamento dei sensi, fino a morire. E vaffanculo.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

La pandemia e Facebook

Ho sempre creduto di avere pazienza e modi per riuscire a ragionare e confrontarmi anche col più strenuo degli avversari, ma non è così.

Ormai è un tutti contro tutti, un crescendo infinito di isteria generale che sta portando tutti in direzioni diverse e ostili. Nessuno è realmente d’accordo con qualcun altro, c’è sempre qualcosa che ci contrappone. Sembra un contenitore di elettroni impazziti che più si scontrano più acquisiscono carica esplosiva, mentre i l livello generale sta assumendo un potenziale d’esplosione pericolosissimo.

Speravo in un legame invisibile, nella solidarietà, in un “siamo tutti davvero in pericolo, per la salute e per l’economia, perciò facciamo squadra, alziamo l’asticella della fiducia l’uno nell’altro e diamo credito a chi ci sta gestendo, perché ci piaccia o no questi abbiamo e questi ci condurranno fuori, agevoliamo e speriamo non sbaglino troppo, e i tempi non saranno immediati“.

Invece no. Tutti. Contro. Tutti.

Ognuno guarda sempre più solo il suo: che sia un’ideologia politica strumentalizzando il panico temporaneo per urlare a gran voce, innalzando un giudiziale tricolore, che i suoi farebbero meglio o che quelli di ora fanno bene; che sia la protesta personale legittimata da un’attività lavorativa che rischia di fallire o che sia il diritto di difendere la propria libertà, lesa nel suo più ancestrale diritto, di decidere se stare a casa o meno; che sia l’ormai insostenibile claustrofobia delle quattro mura di un piccolo appartamento senza balcone o terrazzo che minano la salute mentale di single perché sono single e se avessero qualcuno sarebbe meglio, o che sono in diversi e da soli sarebbe stato più facile; che sia la difesa delle proprie conoscenze scientifiche, politiche, tecniche, il diritto a correre, il diritto a condannare chi corre, il diritto a difendere, il diritto a condannare e basta; il dito da puntare contro qualcuno o lo scendere in campo per dare lo schiaffo sulla mano a chi il dito lo sta puntando contro nessuno ma sa che sicuramente ci sarà qualcuno meritevole di tanto rimprovero.

I più informati e culturalmente elevati pubblicano ma con spocchia, i meno abili al confronto gridano, poi ci sono quelli che condividono i post dei saggi che non scrivono mai ma quando lo fanno rimettono tutti a posto, caduti purtroppo anch’essi nella morsa della tentazione di nascondere, nelle loro illuminanti riflessioni, l’imposizione personale, dissimulata dal nobile pensiero, di non credere a dati non attendibili o di rivendicare la nostra libertà sottratta impropriamente in barba alla democrazia.

Credo che la natura sotto forma di virus ci stia dando una grande lezione, mascherata abilmente da una delle migliori puntate di Black Mirror: avreste lo strumento per sopravvivere su questo pianeta: quello di andare d’accordo rinunciando al vostro egoismo, ma non volete imparare a utilizzarlo.

La verità è che il vostro IO è più grande della vostra attività che sta fallendo, degli anni per tirarla su che avete speso, dell’amore per i vostri cari che rischiano di andarsene per un virus senza vaccino, della claustrofobia, dell’amore per voi stessi. Sì, l’Io che sconfigge l’Io. La neutralizzazione degli stessi fattori scatenanti, forse è questo il senso di tutto: un reset generale, partito da noi, voluto da noi, realizzato da noi, concluso da noi. Un inconsapevole disegno perfetto, architettato magistralmente dal caso indotto dall’Io stesso che annienta se stesso.

Non sarà un finale apocalittico, non sarà proprio un finale, ne usciremo, ma ne usciremo senza che si sia rafforzata la capacità di essere solidali, ma solo con la percezione che ogni singolo Io possa sopraffarne un altro. E Facebook ne è la lente d’ingrandimento.

Male-ego

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Uccelli

Degli uccelli invidio molte cose, non ci avevo mai pensato. Tra tutti gli animali sono quelli che soffrono meno i predatori, per intenderci hanno una vita relativamente tranquilla. È per loro affar semplice procacciarsi un pasto senza troppo impegno, talvolta anche pregiato, basti pensare a quelli che possono svolgere l’antica pratica in mare. Poi il volo, senza meno: credo che se mi chiedessero per quale motivo invidio gli uccelli, il fatto che volano sarebbe sicuramente la seconda ragione. Guardare il mondo dall’alto, raggiungere un posto velocemente, volare via quando non ce la fai più. Poi a rifletterci meglio, gli uccelli possono girare il mondo più velocemente di qualsiasi altro animale, con un dispendio di un decimo delle energie. Prova a chiedere a un uomo, a un ghepardo, e a un uccello che si trovano a Roma, di raggiungere Parigi. Arriverebbe prima l’uccello, fresco come una rosa.

Ah, qual è la ragione più importante per la quale invidio gli uccelli? Invidio gli uccelli perché quando hanno imparato a volare, salutano e vanno via per sempre, senza dover vivere gli anni migliori della loro esistenza assistendo insofferenti allo strazio dei genitori che invecchiano.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Con 3000€ al mese non ci fai nulla. Come dici? Non è vero? Facciamoci due conti.

Senza soldi di famiglia, eredità, o qualcuno che ti sostiene, con 3500€ abbondanti al mese non ce la fai comunque. Non è vero? Che stai a di’ Alessà! Sì vede che non dovete fare tutto da soli allora, ve lo dimostro. Facciamoci i conti in tasca.

Uomo, single, che abita in città dove ci sono opportunità di lavoro (Roma, Napoli, Firenze, Milano…), età tra i 30 e i 50.

Casa 1100€.

Un monolocale/bilocale tra i 45 e i 60 metri quadri in periferia costa 1100€. “Non è vero! Costa di meno!” Ah sì? 1100€ comprendono 800€ di affitto, a meno è impossibile, 150 di spese condominiali, e 150€ tra utenze e tari. 1100€.

Automobile 550€

Non è possibile vivere senza automobile, a meno che non si viva in centro città. A quel punto l’affitto costerebbe almeno 600€ di più. Per chi ha bisogno di muoversi laddove non è possibile andare con i mezzi, soprattutto in un momento storico in cui ogni minuto della giornata è prezioso, la macchina è obbligatoria. Quanto costa? La più economica sono 10.000€. Facciamo rate da 150€ al mese, 200€ di bollo l’anno, 1200€ di assicurazione, tra gomme, olio, filtri, luci sono 1000€, non di meno, totale diviso 12 fa 2400€/12=200. Quindi 150€ di rata, più 200 di spese, totale 350. Il carburante? Ah, c’è anche il carburante. Se avete la macchina farete almeno 20.000km l’anno, prezzo medio del diesel 1,50, in città 12km/l, quindi 20K km/12km/l = 1,66, moltiplicato 1,50€ al litro fa: 2500€ l’anno, diviso 12=208€. Quindi totale 350+200 (arrotondiamo): 550€.

Spesa 300€

La spesa media in un supermercato normale si aggira intorno ai 75€ a settimana. È tanto? No, è poco, stai rinunciando a dolci, vini buoni, salse, sfizi vari, perché nella spesa c’è anche il detersivo, il sapone, la scopa che si è rotta, i tovaglioli, i profilattici, il deodorante etc. 75*4=300.

Vita sociale 100€

Per lavorare e vivere senza spingerti al suicidio, hai bisogno di un po’ di vita sociale, facciamo un pranzo fuori ogni 2 settimane (30€ totali), un aperitivo a settimana (40€ totali), un cinema al mese, una mostra, il dolce/vino che porti a casa di amici (30€ totali). Se sommi tutto sono 100€.

Cene fuori 150€

Inevitabile cenare fuori se vivi da solo, su 7 sere, tra una cosa e l’altra, almeno una volta sarai a cena fuori, e alla peggio meno di 30€ non riesci a spenderli. Se sei con gli amici, se sei accompagnato paghi doppio (non dite stronzate sulla questione chi paga, paga l’uomo, 4 volte su 5, non è un’opinione, se osservate il mondo funziona così. Ovunque. Ma facciamo che l’uomo in questione sia single e che paghi 5 cene al mese da 30€, totale 150.

Sport 80€

Una palestra, 30€ al mese, un calcetto il sabato 10€, iscrizioni/certificati medici vari 120€ l’anno, totale 80€ al mese.

Medici 50€

Ogni due mesi, per sport o altro si finisce da un medico. Mi tengo bassissimo perché quando stai male non basta mai una visita sola, ma facciamo che sia una e che porti via almeno 100€, ogni due mesi sono 600€ l’anno. 50€ al mese.

Farmacia 30€

La febbre, il raffreddore, un muscolo infiammato, la prescrizione medica, l’integratore alimentare, l’antinfiammatorio e mille altre cose che per un motivo o l’altro ci portano in farmacia almeno una volta al mese, per una spesa di almeno 30€.

Abbigliamento 100€

Se ti vesti solo con marchi low cost devi comunque mettere in conto di ricomprare le cose quasi ogni anno, e tra scarpe, cappotti, camicie, intimo e pantaloni 1200€ l’anno vanno via. Sì, nessuno ha mai fatto questo calcolo ma è così. E solo per il minimo e per roba scadente, che inquina, e non di marca. E sono 100€ al mese.

Fermiamoci qui. Quanto abbiamo speso?

Casa 1100€. Automobile 550€. Cibo 300€. Vita sociale 100€. Cene 150€. Sport 80€. Medici 50€. Farmacia 30. Abbigliamento 100€. Totale? 2460. E non abbiamo contato i 120€ al mese di commercialista se sei una partita iva. Ma fingiamo sia un dipendente.

2460€

Per vivere fuori città in un quasi buco, con una macchina brutta, mangiando senza toglierti sfizi, facendo il minimo della vita sociale, senza mai andare a ballare nemmeno in balera, andando a cena fuori il minimo, facendo sport, curandoti nella maniera più economica quando stai male, vestendoti low cost.

E sapete qual è il bello? Che in questi 2460€ non c’è un regalo a un parente o a un amico, un telefono, un divano quando il tuo si deteriora, una tv, un computer, un conguaglio del gas, una multa, un weekend fuori, un fiore per la tua lei, un treno per tornare ad abbracciare tuo padre che invecchia, un libro, un soldo in beneficenza. Se fai i conti di tutto questo sono altri 1000€ al mese, e sarebbero 3460.

3460€ senza ancora aver fatto una vacanza, un viaggio, niente. Costerebbe almeno 2000€, e non ditemi di no, perché due settimane all’anno in qualsiasi posto ti costano almeno così. Abbattiamo di poco e arrotondiamo a 1920 di viaggio all’anno, così il conto è preciso: 160€ al mese.

3620. Cosa manca ancora?

Mettere per esempio un soldo da parte per comprarti un’auto quando la tua sarà ormai vecchia fra 10 anni? O per cambiare il letto? O per cambiare il pc? Non contiamoli. Pensiamo a qualcosa di più. Un bambino.

3620€, e ancora non hai i soldi per un bambino. Quanto costa avere un bambino? Questo non lo so, ma per sopravvivere nella mediocrità e al limite della difficoltà un uomo deve guadagnare questo: 3620€, senza poter nemmeno pensare di averlo un bambino.

Quanti guadagnano così? 3620€ non sono facili da guadagnare, anzi, quasi impossibile.

Se tu sei uno che ha studiato al massimo, le ha azzeccate tutte, ha fatto rinunce, magari allontanandosi dalla famiglia e riesce a guadagnare 3620€ al mese, comunque non potrà pensare di avere un bambino.

Per coloro che pensano che le spese si dividono in due, così con quel che avanza ci mantieni un figlio, no, non è così: purtroppo oggi le donne sono pagate ancora troppo poco rispetto a un uomo, ma anche avesse 2000€ al mese (già difficilissimo) la vita di una donna costa di più di quella di un uomo, pensate solo all’estetica minima che serve per essere accettati dalla società. Quindi non potrà mai fare a metà con voi di affitto o auto o altro, al massimo contribuirà in parte.

La maggior parte di quelli che leggeranno queste parole guadagneranno tra i 1000 e i 2000 euro al mese. E ringrazio Dio per loro che hanno chi gli ha dato l’anticipo per casa, gli ha pagato la macchina, gli ha lasciato la casa in eredità… sono felice per tutti questi, ma quando votate, quando scegliete chi ci governerà, quando accettate un lavoro mal pagato, qualsiasi scelta dobbiate fare, sappiate che c’è chi non ha nulla di famiglia e anzi, la famiglia la deve aiutare, che senza aver sbagliato una mossa nella vita guadagna più 3000€ e non può nemmeno lontanamente pensare a un figlio.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Tutti bravi, tutti uguali.

Tutto si somiglia, tutto si omologa. L’urgenza dell’individuo di realizzarsi e di fare successo ha modificato il dna dell’uomo, innestando la capacità di imparare a fare bene e velocemente una moltitudine di cose. Lo vedo nel mio settore ma anche altrove, tutti imparano a fare tutto, benino, spesso anche bene. Certe figure una volta erano rare e preziose, oggi si sono decuplicate: i dj, gli scrittori, i fotografi, gli attori, i conduttori, i cantanti… tutti hanno imparato velocemente come si scatta una foto, come si scrive in modo accattivante, come si conduce uno show o come si mixano due dischi. Tutti hanno imparato, ma tutti nello stesso modo. Se in auto cambi dieci radio sette sembreranno uguali, le voci dei conduttori tutte simili, l’approccio alle notizie pure, l’annuncio dei brani idem.

Tutti bravi, tutti uguali.

L’omologazione ha abbassato la qualità di tutto, perché anni fa un bravo fotografo era l’unico a diffondere quel linguaggio, oggi invece lo padroneggiano tutti, quindi uno bravo come lui passa inosservato. Così anche nella musica, nella letteratura, nel cinema, nella radio.

Ecco perché pensavo che è sempre più difficile evolversi, in un’epoca dove l’omologazione, seppur di qualità, abbia innalzato l’asticella dello stupore. Se una volta ci esaltava un annuncio enfatizzato di un brano storico alla radio, oggi sapendolo fare tutti, forse non ci si fa più nemmeno caso. Le foto su Instagram sono tutte bellissime, e tutti uguali. Le canzoni idem.

La comicità? Uguale. 40 anni fa una mezza battuta di Corrado faceva sbellicare migliaia di famiglie raccolte davanti alla tv, oggi per lo stesso momento non riderebbe nessuno. Vent’anni fa si rideva a crepapelle con Zelig, Ciro, l’ottavo nano. Oggi per cosa si ride in tv? Niente. Siamo cambiati. Ci fa ridere Malgioglio che fa a capelli con la Marini, Brosio che sbrocca ad cazzum in un reality, Crozza che imita Mentana forse un pochino fa ridere, altrimenti al massimo ti fa fare mezzo ghigno. Siamo cambiati, non vogliamo più ridere, vogliamo lo stupore.

Ecco perché oggi è necessario più che mai rompere gli equilibri, e infatti mi piace chi li distrugge: mi piace Mazzoli che non ha paura di nulla, Cruciani che litiga con tutti, Jimmy Fallon che sorprende gli ospiti, Monina che annienta la musica che odia e poi torna sui suoi passi, Sgarbi che fa le dirette Facebook mentre caga, Chef Rubio che morde pezzi di cervello di chissà quale animale , e tutta la gente comune che sceglie di essere unica, a qualsiasi prezzo. Perché per quanto beceri, antipatici, arroganti e sprezzanti, certi personaggi sono l’unica cosa che smuove le acque torbide della banalità che tutti abbiamo imparato a realizzare, che cambia le carte in tavola, che sembra urlare al mondo guardate quanti colori ci sono, perché per voi è bello tutto solo se è bianco o nero, al massimo grigio?

Ci vuole coraggio a essere così, lo so, infatti molto spesso chi ha questo coraggio di osare non rischia nulla, ché tanto sta bene di famiglia, o ha un santo in paradiso che lo protegge. Per noi gente comune essere coraggiosi è un lusso e un rischio.

Ma meglio rischiare di essere quelli che con il loro coraggio cambiano qualcosa, piuttosto che quelli che a novant’anni si chiedono che cosa abbiano portato di nuovo nel mondo, rispondendosi tuttalpiù mio figlio.

Che comunque non è poco.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Mufasa

Da qualche tempo un mio amico ha iniziato a chiamarmi Mufasa. Secondo lui ho la capacità di parlare d’amore, dando anche consigli importanti, senza risultare antipatico, spocchioso o presuntuoso. Un atteggiamento scevro di quell’altisonante consapevolezza empirea e su carta superiore con cui magari ti parla un professionista della mente, o di quell’affetto con cui ti ascolterebbe e consiglierebbe un fratello, un amico vero, una persona coinvolta emotivamente con te. Una sorta di onestà intellettuale con la quale mi metto sempre nei panni di entrambi e analizzando i sentimenti più semplici riesco a far fare il passo giusto verso l’altra persona, o aspettare che lo faccia lei. Mufasa è saggio, è buono, è protettivo, vede davvero le cose come stanno e sa sempre qual è la cosa giusta da fare, o da non fare. Mufasa riporta l’equilibrio, Mufasa resetta.

Ora lui mi chiama Mufasa, ma da sempre le persone a cui voglio bene si sono rivolte a me per questioni di cuore, amicizia, legami di qualsiasi tipo, anche lavorativi. Possiede una maturità nell’interagire con l’essere umano introvabile, qualcuno disse di me.

E’ vero. Non ho mai chiesto consigli a nessuno, al massimo mi sono sfogato, ho raccontato, ho letto le impressioni degli altri per avere conferma delle mie certezze, che peraltro, in quanto tali, non è che ne avessero bisogno. Me la sono sempre cavata da solo, in tutto.

Ma la verità è che i super poteri non esistono, esistono le attitudini, eccellenti e magnifiche, rare e introvabili, ma pur sempre attitudini. Ti aiutano e ti portano avanti a tutti. Perché se sei ricco, puoi essere generoso quanto vuoi, ma i soldi li spenderai soprattutto per te, per la tua soddisfazione. Le qualità umane che possiedi, smisurata ricchezza, funzionano allo stesso modo: le metti sì a disposizione degli altri, ma sei soprattutto tu a beneficiarne.

Arriverà però quel momento in cui tutta la tua saggezza varrà zero, perché irrealizzabile. Tutti i “cambia luoghi, cambia posti, cambia ambiente, altrimenti non ne uscirai mai” non avranno senso, tutti i “il tempo rimetterà a posto le cose” non funzioneranno perché il tempo non si può gestire se qualcuno ha il potere di congelare il tuo. I tuoi “c’è un patto non scritto con la correttezza che vedrai ti tornerà” sarà uno zerbino d’ingresso atrio per l’ego di chi quel patto non lo onorerà mai. Arriverà il momento in cui il limite delle tue ricchezze si manifesterà, e potrà farlo solo verso di te, essendo tu tra i pochissimi a possederle, e quindi a percepirne l’ormai evidente inadeguatezza.

Mufasa, a un certo punto avrà bisogno di un altro Mufasa, che avrà bisogno a sua volta di un altro Mufasa ancora. Ma il problema dei numeri primi è che…

Dalla savana è tutto, a voi vita.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Mi dà un senso di libertà.

Sto guardando un film in cui due ragazzi sui trent’anni che si sono appena conosciuti hanno siglato un accordo di lavoro di una certa importanza, vanno a cena e si raccontano. Poi lei, molto intraprendente e vivace, porta lui sul tetto di un grattacielo, si sdraiano a testa in su e gli dice “quando là sotto diventa tutto troppo pesante vengo qui su, è uno dei pochi posti di New York da cui si vedono le stelle. Mi dà un senso di libertà.”

Ecco, è tutto qui. La libertà.
Soldi, lavoro, amore, luoghi non hanno senso se perdi la sensazione di libertà. Siamo tutti schiavi di qualcosa o di qualcuno, e tutti alla ricerca inconsapevole di libertà. Il successo nel lavoro porta libertà di gestirti il tempo e fare quello che vuoi, i soldi libertà di acquisto e di indipendenza, l’amore libertà di essere se stessi con un altro essere umano, cosa che da non innamorati non faremmo.

Cerchiamo la libertà, perché è solo da liberi che possiamo scegliere davvero. Se al ristorante ti portano un menù e ti dicono che sono rimasti solo due piatti, ti senti costretto a scegliere tra quei due, e sicuramente una cosa indisponibile attirerà di più la tua attenzione.
In un paese di poche centinaia di persone ti sentiresti costretto a scegliere l’amore tra quelle poche che lo popolano. Poi magari lo trovi anche lì, così come al ristorante potrebbe farti impazzire proprio uno di quei due piatti rimasti disponibili. Ma se così non fosse, se la persona con cui dovessi impegnarti nel piccolo paesino dovesse sembrarti ottusa, limitata, diversa da te e quindi per un qualsivoglia motivo incompatibile, per scegliere saresti costretto a cambiare posto.

Vedi? Quanto è importante la libertà di poter dire “me ne vado, cambio città, cambio lavoro, cambio persona”? Non ha prezzo. La libertà di scegliere non ha prezzo, la libertà di andare dove si possa scegliere non ha prezzo. Con tutti i soldi del mondo non è detto che si ottenga la libertà di fidarti di chi ti sta intorno. Anzi, semmai i soldi quella libertà te la tolgono. E se non ti fidi più dei tuoi amici, dei tuoi collaboratori, dei tuoi soci, delle tue amanti, fidanzate, mogli, sarà difficile tu dorma tranquillo.
Ecco, la libertà di dormire sereno. Impagabile, senza prezzo.

Se un piatto non ti piace, lascialo. Se una canzone non ti emoziona, skippa la playlist. Se una persona ti sta annoiando, cambia discorso. Se un libro non ti coinvolge, passa a un altro. Se nel posto dove sei stai male, anche se è il posto dove vorresti essere da 10 anni, vai via, non è più il posto tuo, anche dopo un minuto che sei arrivato.
E’ la promessa che ho fatto a me stesso e che rispetterò a qualsiasi costo.

Quanto ci mettiamo a dire “qui sto proprio bene” o “con te sto benissimo”? Ecco, quello è il goal, l’obiettivo. Tutto il resto è tempo che restituiamo all’amministratore divino che ce l’ha concesso alla nascita.

Ho perso il filo, perché nel frattempo i due del film ovviamente si sono innamorati e scopano come animali, e come tutti i film che capitano al momento giusto in 20 minuti ti mostrano al meglio il meglio della storia che stai attualmente vivendo nella tua vita, e se prima del film eri già coinvolto alla fine saresti disposto a tutto per amore.

La libertà è l’unica cosa da perseguire per ottenere tutto il resto. Se tutti fossimo davvero liberi sarebbe un mondo perfetto. Quindi smettiamola di cercare cose che ci ingabbino. Che per quanto grande possano essere rimarranno sempre gabbie. Se mettessero una gabbia lungo tutto il perimetro del nostro paese ci sentiremmo in gabbia anche se all’effettivo non cambierebbe quasi niente nelle nostre vite.

L’unica cosa che possediamo di diritto è il tempo, l’unica cosa che rimpiangeremo il giorno in cui esaleremo il nostro ultimo respiro sarà il tempo perso. L’unica cosa che ci restituisce il tempo che ci è dato di diritto alla nascita è la libertà. Il tempo da spendere come scegliamo di fare, non come decide qualcun altro. Gli unici che potranno prendersi il nostro tempo saranno i nostri genitori quando loro non ne avranno quasi più e avranno per forza bisogno del nostro. E in fondo, sono loro l’amministratore divino che ce l’ha concesso mettendoci al mondo. Allora capiremo quanto ne avremo sprecato, e quanto su certe cose avevano tremendamente ragione.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Il salto, non il passo.

Qualche giorno fa una persona con la quale da tempo sono amico su facebook mi commenta un post su un libro. Poco tempo dopo mi scrive che avrebbe piacere di incontrarmi, di fare due chiacchiere, di bere qualcosa con me, per il semplice gusto di conoscermi. Le chiedo cosa l’avesse spinta verso questa coraggiosa richiesta, e lei mi risponde che io le ho dato sensazioni positive anche solo con i miei post, con le mie risposte, con quello che comunico. Le chiedo anche come mai ora, come mai non prima visto che siamo amici virtuali da anni, sebbene non ci fossimo mai scritti. Lei mi risponde che è terminale, che ha due mesi, e di fronte alla mia incredulità per avermi confessato una così importante intima verità mi risponde:

“Perché nella vita bisogna imparare a circondarsi delle persone giuste, che ti trasmettono quello che sanno e che hanno imparato, che abbiano qualcosa da dire, che prendano posizione. Il pensiero comune è di avere “tutta la vita davanti” e tutto il tempo per poter fare il passo, qualsiasi esso sia. A volte non è così. E quando non è così devi fare il salto e non il passo“.

Ieri ho incontrato questa persona. Abbiamo camminato, riso, ci siamo pizzicati, presi in giro, abbiamo fatto ironia su qualsiasi cosa, compreso il suo stato di salute, senza mai entrare nel dettaglio.

Senza conoscermi mi ha salutato con un abbraccio che ha richiesto molto più tempo del previsto, e molta più forza, e molta più intimità. In quell’abbraccio ci siamo trasmessi la vita, tutta la vita che lei vorrebbe e che sa, o crede, di non avere più a disposizione, che è entrata dentro di me prendendo a frustate tutto ciò che dovrei dire, fare, completare, ma che poi per un motivo o per l’altro è rimasto soffocato nella mia di vita talvolta pigra, timida, insicura.

Ho scritto questo post perché porca puttana quanto un abbraccio tra due persone possa diventare uno scambio di vite solo dio lo sa, ed è giusto che sia scritto da qualche parte che poche ore fa avrei voluto versare tutte le lacrime del paradiso, per una persona che ho appena conosciuto e che con la semplicità di due battute ha scomposto tutti i tasselli del domino della mia esistenza, quei tasselli perfettamente sistemati per dover crollare con effetto a catena quando l’avrebbe deciso il mio tempo.

Ma lei ha deciso che erano sistemati male, e ha mischiato tutto.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Il triangolo delle bermud?

Capita di incontrare delle persone che ci illuminino, che ci facciano brillare della loro luce e immediatamente scopriamo un mondo fino a quel momento in ombra. Non mi riferisco all’amore, bensì a quelle persone che piombano all’improvviso nella nostra vita e che iniziamo a stimare come eccellenze nella brillantezza di quello che fanno e che sono.

Da lì in poi ogni loro parola, post sui social, commento degli altri nei loro confronti, ogni loro presa di posizione, sembra quella giusta. Quella che una mente eccellente come la loro ha ragionato e consapevolizzato in pochi istanti, a dispetto della nostra che ci avrebbe messo molto di più. Quindi quando si esprimono gli dai ragione praticamente a propri, ancora prima di farti un’idea tua. Che poi a che serve se loro che sono sempre nel giusto hanno già ragionato per te? Puoi prepararti una vellutata di fagiolini e patate nel frattempo che loro capiscano quale sia la cosa giusta da dire o pensare, almeno domani te la porti al lavoro evitando di spendere 11€ di pranzo, che tanto nemmeno ti danno i buoni pasto.

Succede anche che quelle stesse persone siano umane come te, e abbiano le loro debolezze, esperienze e percorsi che le portano a essere ben lontane dall’idealizzata perfezione che vuoi attribuirgli a tutti i costi, probabilmente per alleggerirti la coscienza dalla responsabilità di dover fare o pensare qualcosa di tuo.

Per esempio, anni fa ho smesso di mangiare la carne, ma non perché povere bestie come vengono trattate non lo sai, cioè sì, anche per quello, ma soprattutto perché ho capito informandomi approfonditamente che è la prima causa di inquinamento. E quindi le piogge scarse, l’aria sporca, le malattie per le polveri sottili, la neve che non c’è più, il caldo atroce, l’ozono… tutti motivi per cui un ignorante con un retaggio culturale estremamente radicato potrebbe non vedere o non sapere, o non voler sapere e che per ora sembrerebbe tollerabile, sebbene secondo la scienza gli allevamenti intensivi abbiano già procurato troppi danni per poter recuperare la salute del pianeta. Oppure uno stronzo, ecco, uno stronzo può sbattersene, tanto è uno stronzo, chi gli dice niente?

Ma quelle menti eccelse, quei talvolta giornalisti/opinion leader/manager/direttori che stimi e condividi i loro contenuti appena gli casca anche per sbaglio un dito sulla tastiera e postano una serie di caratteri a caso su twitter, quelle persone lì che sono in grado di intervenire con poco sforzo anche sui tuoi gusti musicali, che ti aprono i mondi della conoscenza, dell’opinione, del sapere… perché se ne fottono? Non ti danno motivazioni plausibili quando gli chiedi perché. Ti dicono cose “tanto di qualcosa dovremo pur morire”, e tu gli rispondi “sì, ma non è come il fumo che nuoce solo a te stesso, mangiare carne nuoce a tutti, al prossimo oltre a te stesso”, e da lì la mente eccellente affoga nell’egoismo di una risposta comoda, che serve solo a fugare una qualsiasi ulteriore ipotesi di confronto.

Comunque questo post non nasce per parlare della carne, bensì perché una di quelle menti che consideravo eccelse e infallibili ha appena scritto su facebook che Cesare Cremonini è sopravvalutato come cantautore, e io mi sento perso come un grido d’aiuto nel triangolo delle bermude. BERMUDE, non BERMUDA. Sappiatelo.

 

a-physicist-debunks-the-biggest-myth-about-the-bermuda-triangle

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Non amo le platee

Non amo le platee. Ci pensavo poco fa, tornando col pensiero a un mio conoscente che apriva sempre lo sportello alle ragazze. Lo facevo anch’io, ma per non dare risalto a quell’attenzione così apprezzata, nel mentre parlavo, cercando di distrarle affinché se ne rendessero conto solo una volta salite. Lui invece rendeva il gesto molto teatrale accompagnandolo con un autocompiacente sorrisone, seppur gradevole e gentile, come a dire “prego, si accomodi”.

Non amo le platee. Quando a calcio faccio un bel gol, non esulto, prendo chi mi ha passato il pallone, lo porto sotto i tifosi e lo indico, come a dire “il gol lo ha fatto lui”.

Non amo le platee. Se al liceo avevo subito la risposta a una domanda difficile del professore, aspettavo qualche istante, per far vedere di averla cercata, ragionata e poi trovata.

Non amo le platee. Ogni volta che ho ottenuto un buon risultato ho sempre sminuito evitando i complimenti, soprattutto quelli dei miei genitori. Mi hanno sempre, terribilmente, imbarazzato.

Non amo le platee, tanto che quando dico qualcosa di inopinabilmente giusto, poi volontariamente dico sempre qualcosa di stupido. Come se non reggessi la responsabilità dell’ammirazione altrui, come fosse ingiusto l’abbia io e non qualcun altro meno fortunato.

Non amo le platee, eppure guarda che lavoro son finito a fare: il dj, il presentatore, la radio, la televisione.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento